I vaccini anti-Covid ordinati alla Cina sono finalmente arrivati in Turchia. Alcuni media turchi hanno rivelato che il carico delle prime dosi del vaccino era rimasto per giorni fermo alla dogana di Pechino.

Motivo? Tutto politico. Il governo cinese vuole che Ankara ratifichi il trattato di estradizione dei profughi Uiguri che vivono in Turchia: 50 milioni di dosi di Sinovac per 50.000 Uiguri.

La Turchia li ha infatti accolti per decenni, proteggendoli. Adesso deve finirla.

Gli Uiguri sono abitanti della regione autonoma del Turkestan orientale, nella quale Pechino da decenni sta attuando una politica di cinesizzazione forzata. Quella regione montuosa (ribattezzata col nome di Xinjiang) è abitata da 11 milioni di persone di lingua turcofona e di religione musulmana e costituisce circa il 45% dell’intera popolazione. Gli Uiguri denunciano da tempo le autorità cinesi per le feroci pratiche di discriminazione culturale, religiosa ed economica che subiscono e perché sono sottoposti ad arresti arbitrari, a torture e al lavaggio del cervello da indottrinamento politico in campi di internamento e nelle prigioni.

Si ritiene che più di un milione di persone siano detenute in tali campi. Diversi report di Human Rights Watch parlano di programmi di rieducazione, di divieto di pratiche religiose e culturali, di lavoro forzato, di sorveglianza di massa e di sterilizzazione forzata delle donne.

Gli attivisti Uiguri e le loro famiglie in fuga dalle persecuzioni delle autorità cinesi avevano trovato rifugio in Turchia, ma ora anche qui non possono più considerarsi al sicuro.

La loro situazione è drasticamente peggiorata da quando la Turchia ha stretto maggiori legami economico-commerciali con la Cina. Siccome però sono musulmani, Erdoğan sta attento nella politica di espulsione di questa etnia. Non li rimpatria direttamente in Cina, ma si libera di loro espellendoli in Paesi terzi, come p.es. il Tagikistan, dove l’estradizione presenta meno difficoltà e dove non si ha alcuno scrupolo a rinviarli in Cina. In questo modo fa apparire in patria tale pratica più accettabile dalla comunità musulmana turca.

Erdoğan non ha un vero Parlamento a cui dover rendere conto e la sua politica estera risponde prevalentemente alla sua agenda interna. Il trattato di estradizione è frutto di un accordo del 2017 ed è stato recentemente ratificato da Pechino, dal Congresso nazionale del popolo. Il governo turco, invece, ha dovuto affrontare una forte opposizione da parte di alcuni circoli islamisti. I media statali hanno supportato fortemente la retorica del presidente che ha presentato questo accordo di estradizione come necessario nella lotta al terrorismo.

E pensare che lo stesso Erdoğan nel 2009 aveva denunciato come genocidaria la pratica cinese di persecuzione degli Uiguri.

Ora invece è costretto, per fare uscire dalle sabbie mobili la sua economia in crisi, a un’alleanza coi circoli dell’estrema destra ultranazionalista, che sostengono, in politica interna, una linea fortemente repressiva e anticurda e, in politica estera, in particolare con gli eurasisti, un riorientamento anti-occidentale della Turchia. Propugnano l’uscita dalla NATO e guardano a est, all’entroterra dell’Asia centrale e orientale, puntano a strette relazioni con la Russia e vedono nel sistema cinese un modello da adottare.

D’altra parte tutti i circoli dell’estrema destra, del nazionalismo estremo, persino del kemalismo maoista di estrema sinistra, eurasista, sono ora in stretta alleanza con l’AKP di Erdoğan, da quando, dopo il tentato golpe del 2016, hanno occupato i gangli vitali dello Stato, in particolare le Forze Armate, la Magistratura, la Polizia e l’Istruzione.

Ankara ha già aperto le porte alla Cina in ogni campo e ha ricevuto 3,6 miliardi di dollari in prestito dalla Banca industriale e commerciale di Pechino per investimenti nel settore dell’energia e dei trasporti. Ora i due Paesi sono in accordo per la conquista dei porti del Mediterraneo. Per es. a Taranto la compagnia turca Yılport ha una concessione portuale di 49 anni, dietro investimenti garantiti per 400 milioni di euro.

Non dimentichiamo che il corridoio anatolico è indispensabile ai cinesi per il progetto faraonico della Road Belt Initiative (la Nuova via della seta).

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