Hanno senso le sanzioni economiche, in tempo di pace, contro uno Stato che per qualche motivo se le merita? Secondo me no. Faccio fatica ad accettarle persino in tempo di guerra, poiché sappiamo tutti ch’esse vanno a colpire non chi comanda ma chi subisce. Affamare un’intera popolazione per vincere una guerra contro un esercito nemico, è vergognoso.

Non si ha nessuna garanzia che un embargo economico possa servire ad abbattere un governo al potere. Anzi si sa con certezza che andrà a rovinare ulteriormente la popolazione più debole e bisognosa. Per di più il governo sfrutterà proprio le sanzioni per assumere un atteggiamento vittimistico, sentendosi ancora più autorizzato a resistere a oltranza. Se un governo sanzionato è politicamente autoritario, lo diventerà ancora di più, a meno che non sia la stessa popolazione ad abbatterlo, come avvenne nella Russia zarista.

È la storia che ci dice che queste forme esterne di pressione economica finiscono per diventare un altro modo di sparare nel mucchio. Come se lanciassimo delle bombe sulle città semplicemente allo scopo di terrorizzarne gli abitanti.

Anche quando sappiamo benissimo che le guerre non sono volute dai popoli ma dai governi in carica, i quali riescono a convincere o a costringere i popoli a parteciparvi, non abbiamo il diritto di pensare che un embargo economico potrà stimolare un processo popolare di ribellione in atto. Un popolo si deve conquistare la democrazia da solo, con le proprie forze.

Questo per dire che in tempo di pace si possono porre sanzioni ai cosiddetti “Stati canaglia” solo sulla vendita delle armi o su beni strategici che possono aumentare la loro pericolosità bellica, la loro capacità offensiva. Al di fuori di questi casi sarebbe bene limitarsi alle sanzioni politiche, quelle che implicano l’espulsione dagli organismi internazionali, il ritiro degli ambasciatori, la chiusura dei consolati, il rifiuto di collaborare sul piano dell’intelligence o scientifico, ecc.

In tal senso penso sia stato giusto che l’ambasciatrice dell’Unione Europea, Isabel Brilhante Pedrosa, sia stata espulsa dal governo del Venezuela. Questo perché la UE ha imposto ben 55 sanzioni economiche al Venezuela, solo perché Maduro non si è dimesso, accettando di mandare al potere Juan Guaidó, da più parti definito “l’imbarazzante Obama venezuelano burattino della CIA”.

Può uno Stato estero affamare la popolazione di un altro Stato, già stremata per conto suo, solo perché il governo non ha rispettato le condizioni formali della democrazia durante le elezioni politiche nazionali? A quanto pare no, visto che dallo stesso ONU è arrivata una voce favorevole a Maduro: la relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulle misure coercitive unilaterali e sui diritti umani, Alena Douhan, ha esortato gli USA, la UE e altri Stati a ritirare le sanzioni unilaterali imposte contro il Venezuela, poiché esse non hanno fatto che esacerbare “le calamità preesistenti, provocando una crisi economica, umanitaria e di sviluppo, con un effetto devastante sull’intera popolazione del Venezuela, in particolare sulle persone che vivono in condizioni di estrema povertà, donne, bambini, operatori sanitari, persone con disabilità o malattie croniche e popolazioni indigene”.

Parole analoghe venivano dette (e ancora oggi lo si fa) quando gli USA posero l’Iran sotto embargo subito dopo la rivoluzione islamica nel 1979, a causa dell’attacco all’ambasciata americana. Successivamente anche la comunità internazionale e l’ONU giustificarono l’embargo in risposta alla “non sospensione” del programma nucleare (una motivazione ridicola, poiché fatta da molti Paesi ampiamente nuclearizzati). Dal 2006 al 2012 le sanzioni vennero intensificate e benché mirassero a colpire la tecnologia nucleare, l’esportazione di armi, conti bancari o organizzazioni legate al nucleare, prostrarono di fatto l’economia del Paese, rendendo impossibile per gli iraniani procurarsi alcuni tipi di cibo, medicine, tecnologie mediche e altri beni.

Le sanzioni contribuirono a generare il crollo del valore della moneta iraniana nei confronti delle valute straniere, sconvolgendo la vita quotidiana della popolazione, alle prese con un aumento dei prezzi di qualsiasi prodotto a livelli vertiginosi. A causa delle sanzioni americane (mai finite) ancora oggi in Iran circa 15 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, ovvero il 20% della popolazione. Teoricamente le sanzioni non dovrebbero colpire direttamente l’importazione di beni a carattere umanitario e invece uno dei settori più colpiti è proprio quello medico-sanitario. Anche nelle farmacie più fornite delle grandi città non si trovano più i medicinali per i malati cardiopatici, per gli emofilici, per i malati di hiv/aids… Non è così facile sostituire il principio attivo di un farmaco con un altro.

Un altro drammatico problema legato alle sanzioni è l’inquinamento. Il blocco delle esportazioni verso l’Iran di tecnologia e componenti per la raffinazione e l’estrazione di gas naturale ha indotto le autorità a usare il gas prodotto da idrocarburi, che è altamente velenoso. L’effetto di questa scelta ha provocato la morte per smog di decine di migliaia di persone.

Da 30 anni gli aerei civili iraniani non vengono aggiornati con pezzi di ricambio. Conseguenza di ciò: più di 200 incidenti hanno causato la morte di circa 2.000 persone negli ultimi tre decenni.

A causa dell’embargo gli iraniani all’estero non possono aprire un conto corrente bancario o trasferire soldi (lo diremo meglio in un art. a parte). Le sanzioni hanno influito anche nel settore del turismo, in quanto le carte di credito internazionali in Iran non sono accettate e il turista ha come sola alternativa il contante.

Commercianti già facoltosi hanno ottenuto attraverso le sanzioni notevoli vantaggi, importando di contrabbando tutto ciò che manca sul mercato iraniano, e rivendendolo a prezzi esorbitanti.

E l’embargo è forse servito a togliere di mezzo il clero ultraconservatore al governo? Neanche per idea. Questi blocchi commerciali non sono forse una forma di genocidio? Non fu forse definito così quello che gli USA posero a Cuba dopo la rivoluzione socialista?

Queste cose le sappiamo da un pezzo, eppure noi occidentali continuiamo a farle. Oggi è il turno del Venezuela.

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