Il governo della Turchia ha annunciato che si ritirerà dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, un accordo internazionale promosso dal Consiglio d’Europa nel 2011 ed entrato in vigore nel 2014 per prevenire e combattere la violenza contro le donne, lo stupro coniugale e le mutilazioni genitali femminili. L’accordo, firmato da 45 Paesi in tutto il mondo più l’Unione Europea, è noto come Convenzione di Istanbul, poiché fu ratificato nella città turca, e la Turchia fu il primo paese a firmarlo.

Il presidente Erdoğan, il cui governo è diventato sempre più autoritario, ha voluto fare un favore all’ala più conservatrice del suo elettorato islamico, secondo cui la Convenzione sarebbe contraria alle norme dell’islam e incoraggerebbe divorzio e omosessualità.

Il vicepresidente, Fuat Oktay, ha scritto su Twitter che la soluzione per “elevare la dignità delle donne turche” sta “nelle nostre tradizioni e nei nostri costumi”, non nell’imitazione di esempi esterni.

Eppure nel 2019 in Turchia sono state uccise almeno 474 donne, la maggior parte dagli attuali o dai precedenti compagni, dai familiari o da uomini che volevano avere una relazione con loro. Soltanto nei primi due mesi del 2021 ci sono stati 65 femminicidi. Secondo l’OMS almeno il 40% delle donne turche è vittima di violenza compiuta dal proprio partner, rispetto a una media europea del 25%.

D’altra parte in quale Paese islamico viene tutelata la donna? Se lo è, difficile che lo sia grazie a questa religione maschilista.

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