L’accordo (voluto soprattutto dalla Germania) sugli investimenti tra Pechino e la UE, firmato nel dicembre scorso dopo 7 anni di trattative e 35 round negoziali, si è già incagliato in sanzioni UE (motivate dalle violazioni dei diritti umani nella provincia dello Xinjiang contro gli Uiguri musulmani) e controsanzioni cinesi (a carico di eurodeputati, parlamentari nazionali e think tank europei). Nel contempo si va rafforzando l’intesa tra la UE e gli USA di Biden.

Ufficialmente sono tre gli argomenti su cui non ci si trova d’accordo: reciprocità di accesso al mercato, parità di condizioni per tutti gli operatori e regole condivise su clima, salute e lavoro.

Ciò è molto strano, in quanto nel 2019 la Cina è stata il più grande partner commerciale della Germania per il quarto anno di fila e le case automobilistiche tedesche vendono più veicoli in Cina che sul territorio nazionale.

L’uscita di scena di Trump e l’indebolimento del traino tedesco (a settembre la Merkel non sarà più cancelliera) hanno convinto le istituzioni europee ad accettare le pressioni dell’amministrazione Biden a boicottare la Cina.

Il governo tedesco ha inoltre detto che la società di telecomunicazioni cinese Huawei può sì partecipare all’espansione della rete 5G in Germania, ma le barriere all’ingresso saranno alte. In pratica la si vuole boicottare.

Infine la Commissione europea vuole evitare che gli aiuti dello Stato cinese alle proprie imprese possano facilitare queste ultime nell’acquistare know-how e tecnologie europee. Infatti chi usufruisce di sussidi pubblici ha una chance in più di vincere bandi di gara o acquisire società o asset di una certa rilevanza. Questo perché l’espansionismo cinese nella UE sta diventando davvero impressionante.

Washington ha addirittura ventilato la possibilità di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino, mentre il Bundestag discuterà a metà maggio se il trattamento degli Uiguri debba essere etichettato come genocidio.

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