L’azienda di maggiore successo nel mondo, in questo momento, è l’Apple. I suoi prodotti in testa alle classifiche di vendita internazionali sono realizzati nelle fabbriche dell’azienda cinese Foxconn. La paga iniziale di un operaio Foxconn è di due dollari l’ora. I lavoratori vivono in dormitori di sei-otto letti per i quali pagano un affitto di 16 dollari al mese. La fabbrica si trova a Chengdu, funziona 24 ore su 24, dà lavoro a 120mila persone e non è neanche lo stabilimento più grande della Foxconn: quello si trova a Shenzhen e ha 230mila operai che lavorano 12 ore al giorno, sei giorni su sette. Quando di recente è scoppiato uno scandalo sui suicidi nelle sue fabbriche, la Foxconn si è limitata a dichiarare che il tasso di suicidi tra i suoi dipendenti è più basso della media cinese, e che ogni giorno è costretta a respingere migliaia di domande di lavoro.

Le condizioni di lavoro negli stabilimenti di Foxconn sono uguali se non addirittura migliori rispetto a quelle delle altre fabbriche locali, e i lavoratori cinesi ritengono comunque la vita dell’operaio preferibile a quella del contadino medio.

E tutto questo avviene nello stato teoricamente comunista più grande e potente del mondo.

A febbraio tutti gli operai della Foxconn hanno avuto da un giorno all’altro un aumento di stipendio del 25%. E non è stato il frutto di una protesta organizzata dei lavoratori, ma il risultato di un articolo sulle loro condizioni di lavoro apparso sul “New York Times”. Le pressioni etiche dell’occidente sono una delle spinte più potenti per migliorare la qualità del lavoro in fabbrica a Shenzhen.

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