L’eutanasia in Svizzera
La Svizzera è la Mecca del suicidio assistito: molti stranieri vi si recano appositamente per morire con l’aiuto di un’organizzazione ad hoc. Nel 2014 fecero addirittura un documentario televisivo sul parlamentare This Jenny, malato terminale di cancro allo stomaco, che si tolse la vita con l’aiuto dell’organizzazione Exit. I cittadini non sollevarono alcuna protesta. In Italia sarebbe scoppiata una guerra civile per motivi religiosi.
Nel 2011, poco dopo che l’elettorato del cantone di Zurigo aveva bocciato seccamente un’iniziativa che voleva proibire l’aiuto al suicidio, il governo svizzero decise di rinunciare a disciplinare a livello nazionale l’assistenza organizzata al suicidio. I richiami della UE a una maggiore eticità non li prese neppure in considerazione.
D’altra parte le norme svizzere sull’eutanasia indiretta e quella passiva sono in vigore da molto tempo. Ciò ha contribuito a creare fiducia tra la popolazione sul fatto che la legalizzazione non porta ad abusi.
Lo ritengono un’opzione giusta dopo che tutte le altre alternative sono state esaminate e solo come ultima ratio per le persone con un desiderio consapevole e motivato di suicidarsi. Naturalmente chi aiuta a farlo deve essere un professionista e non deve avere alcun motivo per indurre la persona a chiederlo (p.es. perché trae dei vantaggi materiali).
Soltanto se a voler morire non sono malati in fase terminale, ma persone stanche della vita o con malattie psichiche, l’aiuto al suicidio può provocare controversie. In questi casi vi sono dei medici che non sono disposti a rilasciare la ricetta per un farmaco letale. L’importante comunque è sapere che lo Stato non può costringere qualcuno a vivere contro la propria volontà.
Alcune organizzazioni no profit svizzere s’impegnano anche all’estero perché si ottenga ovunque la legalizzazione dell’accompagnamento alla morte volontaria, in modo che le persone gravemente malate non siano costrette a recarsi in Svizzera, dove ogni anno più di mille persone pongono fine alla loro vita in tale maniera. Tra i Paesi favorevoli, o perché han già approvato una legge o tendono a farlo, vi sono al momento Olanda, Canada, Germania e Australia.
Gli assistenti al suicidio si occupano anche dei familiari e degli amici che vogliono essere vicini al proprio caro nel momento del trapasso. Per diventare assistente bisogna seguire una formazione di un anno durante la quale si acquisiscono conoscenze in medicina, diritto e psicologia e s’impara a interagire coi pazienti. In particolare bisogna avere:
– conoscenze o competenze in psicologia e comunicazione
– capacità di rispettare il diritto all’autodeterminazione
– personalità solida, empatia e pazienza
– conoscenza della situazione giuridica sull’eutanasia
– età minima 40 anni.
Gli assistenti hanno un contratto di lavoro. Ricevono un indennizzo forfettario di 650 franchi per ogni caso. In più ottengono un contributo base per le piccole spese, come le telefonate o i viaggi verso il luogo di residenza del paziente. Di regola un assistente al suicidio si occupa per circa 20 ore di un cosiddetto dossier. Ciò equivale a uno stipendio di 35-40 franchi all’ora. È la paga oraria di chi svolge una professione infermieristica. A volte gli assistenti al suicidio accompagnano un paziente per decine di ore sull’arco di più anni.
Bisogna pensarci a queste cose perché tra un po’ avremo un referendum da votare e ne sentiremo sicuramente di tutti i colori, forse anche più del Covid-19.
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