Transparency International ha pubblicato il 25 gennaio l’edizione 2021 dell’Indice di percezione della corruzione relativa al settore pubblico di 180 Paesi. Meno punti si hanno, peggio è.

L’Italia è al 42° posto, con un punteggio di 56: ancora lontana dalla media europea (64 punti). Però abbiamo guadagnato 10 posizioni. Merito degli ultimi governi, un po’ più attenti al problema della corruzione.

Resta da colmare il ritardo nell’applicare la direttiva europea 2019/1937 sul tema del whistleblowing (il dipendente pubblico che segnala fatti illegali), nonché la necessità di portare a termine la regolamentazione del lobbying. Poi occorre, a livello digitale, una banca dati unica degli appalti pubblici per garantire più trasparenza e scelta delle migliori imprese. Di recente il Consiglio di Stato ha dato il via libera al decreto interministeriale contenente le disposizioni attuative delle nuove regole per la comunicazione al Registro delle Imprese della titolarità effettiva da parte delle imprese dotate di personalità giuridica, delle persone giuridiche private, dei trust e degli istituti giuridici affini.

I migliori nella classifica mondiale sono Danimarca e Nuova Zelanda, affiancati quest’anno anche dalla Finlandia, con 88 punti. La Germania si conferma nel gruppo di testa, con 80 punti, il Regno Unito ne ottiene 78, la Francia 71 e, incredibile a dirsi, gli Stati Uniti 67. In fondo alla classifica Siria, Somalia e Sud Sudan.

Tuttavia dal 2012 al 2021 ben 154 Paesi non hanno compiuto progressi significativi o hanno peggiorato il loro punteggio, e in quest’ultimo anno 123 Paesi su 180 presentano ancora importanti problemi di corruzione, avendo conseguito un punteggio inferiore a 50, ed evidenziano un forte rischio di arretramento nella tutela dei diritti umani, nella libertà di espressione e di una crisi della democrazia.

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