Ancora oggi si è convinti che le centrali nucleari generano più energia a zero emissioni di quanta ne producano eolico e solare messi insieme. In realtà l’energia nucleare ha una grande impronta carbonica, poiché per estrarre l’uranio sono usati combustibili fossili, anche se la stessa critica potrebbe essere mossa ai combustibili usati per estrarre litio, silicio e altri minerali coi quali si producono energie rinnovabili.

Insomma non se ne esce. Sappiamo solo che il nucleare (incredibile a dirsi) è diventato una parte irrinunciabile della strategia di decarbonizzazione di molti importanti Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Brasile… Anche la Romania provvederà in tale direzione: una start-up statunitense (NuScale) installerà cinque dei sue reattori nucleari avanzati al posto delle centrali a carbone, destinate a essere definitivamente chiuse entro il 2032, e che da sole forniscono 1/7 di tutta l’elettricità, producendo 45 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno.

Si è cominciato a parlarne alla Cop 25 delle Nazioni Unite che si è tenuta a dicembre a Glasgow, in Scozia. E da allora non si è più smesso.

D’altra parte anche negli USA stanno pensando, in considerazione del fatto che 1/3 degli impianti nucleari è destinato a chiudere prima del previsto, che non ha alcun senso sostituirli con altri a carbone e gas naturale. Il nucleare a fusione sta diventando una scelta obbligata. Entro il 2035 gli USA vogliono decarbonizzare la rete elettrica. Quanto più si vuole agire in fretta, per essere i primi della classe, tanto più si scelgono soluzioni che col tempo si riveleranno incredibilmente disastrose. E non solo per il problema dello smaltimento delle scorie, non solo per le eventuali contaminazioni di terra, aria e acqua (disastrose quelle di Three Mile Island, Chernobyl e Fukushima), ma anche perché tali centrali possono diventare obiettivi sensibili quando scoppiano delle guerre.

Naturalmente la motivazione con cui si vuol procedere in direzione del nucleare a fusione non è affatto ecologica, ma economica (quanto più un Paese è avanzato, tanta più energia ha bisogno), e anche geopolitica: infatti i Paesi che hanno costruito la loro politica estera sulla vendita di petrolio e gas naturale perderanno peso sulla scena internazionale.

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