Il “New York Times” ha pubblicato una lunga inchiesta sulla Repubblica Democratica del Congo, che al momento fornisce più della metà delle scorte mondiali di cobalto, usato per produrre le batterie delle auto elettriche. Il Paese è lacerato dalla corruzione dei politici locali, dalle pessime condizioni di lavoro e dai danni ambientali.

Durante la II guerra mondiale gli Stati Uniti si rivolsero al Congo per procurarsi l’uranio necessario a costruire le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. E nei decenni successivi spesero decine di miliardi di dollari per sfruttare i siti minerari del Paese e per reprimere i ribelli filosovietici. Negli anni ‘70 il governo di Mobutu era entusiasta di questo rapporto.

Poi negli anni 2000 la Freeport-McMoRan (azienda statunitense che controllava le miniere congolesi) ha deciso di puntare forte sul gas e sul petrolio, spendendo 20 miliardi di dollari. Quando il prezzo del petrolio è crollato, l’azienda s’è trovata sommersa dai debiti, e nel 2016 ha dovuto vendere la miniera di cobalto e rame di Tenke Fungurume, la più importante del Paese. Se l’è aggiudicata la China Molybdenum per 2,5 miliardi di dollari.

L’amministrazione Obama non intervenne e quella di Trump fece peggio, poiché ripristinò il primato del carbone, rinunciando alla transizione verso le auto elettriche, sicché oggi Pechino controlla 15 delle 19 miniere di cobalto del Congo e sembra destinata a vincere la corsa sulle auto elettriche.

L’ultima speranza che hanno gli USA è quella di sfruttare i grandi giacimenti di litio appena trovati sotto il deserto nel nord del Nevada. Il litio, come il cobalto, è fondamentale per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli solari e batterie di auto elettriche). Al momento metà delle forniture provengono dall’Australia, il resto dalla Cina (17%), dal Cile (22%) e dall’Argentina (8%).

Gli USA devono però sbrigarsi, perché il governo Biden pretende che entro il 2030 la metà delle auto circolanti nel Paese siano elettriche, e con solo 9 aziende che producono batterie agli ioni di litio sono in grave ritardo (la Cina ne ospita 107 e nel mondo ve ne sono 142).

Intanto però devono combattere gli attivisti ambientali del Nevada, per i quali non ha alcun senso sacrificare un territorio incontaminato in nome della transizione ecologica. L’estrazione del litio lo renderà infatti inabitabile per piante e animali, in quanto può disperdere nell’acqua metalli pericolosi come arsenico, antimonio e uranio. Problemi che evidentemente in Cina non hanno.

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