“Bloomberg” scrive che tutti i tentativi statunitensi d’indebolire l’influenza della Russia sul mercato globale dell’energia nucleare non hanno avuto successo.
Anzi la Rosatom russa, fondata da Putin nel 2007, ha iniziato la costruzione della prima centrale nucleare in Egitto, sta sviluppando progetti in Ungheria e Turchia, è avanzata in cooperazione con vari Paesi: dal Myanmar all’Uganda. Insomma fa affari da miliardi di dollari.
Il porto egiziano di Al Hamra sta diventando uno snodo decisivo, che consente alla Russia di aggirare le sanzioni contro il petrolio.
Ci sono due funzionari sanzionati nel Consiglio di sorveglianza di Rosatom, ma la dipendenza degli Stati Uniti dal combustibile nucleare russo (uranio in primis) non si è ridotta, anzi è paragonabile a quella dell’Europa dal gas: ogni settima tonnellata bruciata nei reattori americani viene dalla Russia.
Il 28% dei servizi di arricchimento dell’uranio per i bisogni dell’industria energetica statunitense sono forniti proprio dalla Rosatom, che peraltro in Europa fornisce elettricità a 100 milioni di persone.
In qualsiasi momento la Russia può dimezzare la fornitura mondiale di combustibile nucleare. E il mercato più vulnerabile al mondo è proprio quello degli Stati Uniti.
Che senso hanno le sanzioni economiche? Sono solo un’esibizione muscolare fine a se stessa? L’occidente ha già imposto quasi tutte le possibili sanzioni contro la Russia. Rimangono solo opzioni molto rischiose, come l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo e la confisca dei beni russi congelati. Possibile che ancora non si sia capito che il loro effetto può essere devastante per l’intera economia globale?

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