Se l’Unione Europa fosse priva di pregiudizi antirussi, se non fosse dominata dalla propaganda guerrafondaia degli americani (che devono per forza crearsi dei nemici da combattere), se accettasse definitivamente l’idea di un mondo multipolare, avrebbe potuto giudicare la cosiddetta “operazione speciale militare” voluta da Putin sulla base di criteri diversi da quelli che sta usando.

Al momento quell’intervento viene risolutamente condannato sulla base di due criteri: violazione della sovranità politica di uno Stato indipendente e dell’integrità nazionale del suo territorio. È un modo schematico di dire: la Russia è un Paese aggressore, quindi ha torto; l’Ucraina è un Paese aggredito, quindi ha ragione. E in questa maniera vengono giustificati il golpe neonazista del 2014 e la guerra civile del governo di Kiev contro le due repubbliche autonome del Donbass condotta per 8 anni, che ha comportato 14.000 morti e milioni di profughi.

In realtà c’era un altro criterio per giudicare la Russia, anch’esso previsto dalla Carta dell’ONU: Putin e i suoi generali stanno conducendo l’operazione militare in maniera tale che l’aiuto offerto alle due repubbliche del Donbass è o non è superiore all’offesa ch’esse hanno subìto? Cioè stanno rispettando il criterio della proporzionalità oppure no?

Questo è un criterio importante, perché per es. Israele nella sua guerra contro i palestinesi non lo rispetta mai, proprio perché sa a priori che non verrà mai condannata dagli USA e dalla UE.

Se gli analisti tenessero questo criterio in considerazione, smetterebbero di dire che l’esercito russo non vale niente o è costretto a compiere nefandezze proprio perché non è all’altezza della situazione e altre stupidaggini del genere. E dovrebbero finalmente accettare l’idea di distinguere tra un’operazione militare condotta in un territorio in cui esistono molti amici e parenti dei russi e una guerra in cui non si guarda in faccia a nessuno.

Ora, siccome l’occidente non ha accettato d’intavolare trattative di pace sul criterio della proporzionalità, ma anzi ha preferito armare il più possibile il governo di Kiev, facendo capire che è in atto una guerra per procura tra NATO e Russia, ci troviamo di fronte a una svolta capitale: se i cittadini dei territori già liberati dai neonazisti ucraini accettano, tramite i referendum, di far parte integrante della Federazione Russa, allora il conflitto in atto si trasforma in una guerra esplicita o diretta tra NATO e Russia. A questo punto tutti i Paesi NATO che vi partecipano inviando armi e personale militare possono essere oggetto di bersaglio da parte dei russi. Cioè potremmo aspettarci degli attacchi militari all’interno dei nostri confini nazionali contro le basi da cui partono gli aiuti militari.

Ora chiediamoci: le popolazioni europee degli Stati cobelligeranti sono consapevoli del rischio che stanno correndo? Se Putin non sapesse che le basi NATO possono contenere armi nucleari, non avrebbe mai usato il criterio della proporzionalità dicendo che, in caso di un nostro attacco nucleare, la risposta sarebbe stata conseguente. La dottrina militare russa (a differenza di quella americana) esclude che l’arma nucleare possa essere usata in maniera preventiva, ma ovviamente non esclude che venga usata in maniera ritorsiva. E se ciò dovesse avvenire, non facciamoci illusioni sulla differenza tra armi nucleari tattiche e strategiche: l’Europa tornerebbe comunque al Medioevo.

Mi chiedo come mai i nostri statisti non riescano a capire dei concetti così elementari. Sembra che la politica non abbia facoltà di ragionare in maniera autonoma, ma sia continuamente condizionata da una visione militare delle cose, necessariamente schematica, che supera addirittura la tradizionale visione economicistica con cui stabiliamo i rapporti con gli Stati non europei.

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