Pensare prima di parlare
Il recente premio Nobel per la pace, Irina Scherbakova, non crede a una soluzione diplomatica del conflitto tra Russia e Ucraina. “Finché Putin sarà al potere, l’unica soluzione possibile sarà militare”, ha detto la confodatrice dell’organizzazione russa per i diritti umani Memorial. “La diplomazia? Potrà parlare solo quando l’Ucraina riterrà di aver vinto sul campo e potrà stabilire le sue condizioni”. “Uno scenario che – secondo la pluripremiata storica russa – sarà tuttavia possibile soltanto quando Putin lascerà le redini della Russia. La guerra ha cambiato troppe cose. Nulla tornerà come prima”. Sembra parlare come se fosse la portavoce personale di Zelensky.
Ora, a parte che l’ONG Memorial è stata identificata dal Cremlino come “agente straniero” ed è stata quindi ufficialmente bandita, qui quello che stupisce di più è che una storica russa, premio Nobel per la pace, chieda di scendere a trattative solo dopo che gli ucraini avranno la certezza di aver vinto la guerra sul campo, e solo dopo che Putin avrà rassegnato le dimissioni da presidente della Federazione.
Questa non è in grado di capire neppure l’ABC della diplomazia. Le trattative si possono intavolare quando le condizioni che entrambe le parti pongono sono sufficientemente credibili, accettabili o praticabili. E fino adesso quelle del governo di Kiev sono state di un’assurdità totale, soprattutto là dove pretende la restituzione del Donbass e della Crimea.
Paradossalmente son proprio i russi a pensare che di fronte a un atteggiamento così irresponsabile, la fine della guerra potrà essere decisa solo sul campo. E, considerando il quantitativo di riservisti già mobilitati (300.000), che è una prima tranche del milione previsto, e considerando la totale devastazione delle infrastrutture che garantiscono ai civili luce, gas e acqua, si ha la netta impressione che Mosca punti a una resa incondizionata. Se andiamo avanti così, non ci sarà nessuna trattativa, ma per motivi opposti a quelli indicati dalla Scherbakova, che dovrebbe anche evitare di dire che gli appelli alla pace sono “infantili”. Nessun appello lo è, a meno che non venga fatto all’interno della retorica manichea, ormai piuttosto stucchevole, del Paese aggredito e del Paese aggressore.
Fonte: it.euronews.com
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