Stalin si prese il merito della vittoria contro il nazismo, quando semmai il merito andava riconosciuto al popolo e ai suoi generali. I 27 milioni di morti non furono causati solo da Hitler ma anche da lui, dalla sua incapacità strategica e dal suo culto della personalità.Stalin aveva distrutto lo stato maggiore del suo Paese poco prima dell’invasione nazista, non credette alla rottura del patto Ribbentrop-Molotov finché i panzer non arrivarono sotto Mosca, chiedeva ai soldati di morire piuttosto che arrendersi e spesso boicottava l’operato dei propri generali (con Zukhov lo fece anche dopo, a guerra finita) e questo perché li temeva, non avendo lui alcuna competenza militare.Ancora oggi i russi lo considerano un grande statista e vorrebbero persino che Volgograd tornasse a chiamarsi col suo nome.Il bello è che la storia sembra avergli dato ragione: una Russia debole diventa una facile preda per l’Occidente collettivo.Questo è un ragionamento sbagliato. La forza di un Paese non sta tanto nelle proprie armi, quanto nel livello di civiltà che è in grado di dimostrare, e in questa civiltà il senso della democrazia deve giocare un ruolo non meno importante di quello del socialismo.Non ha davvero alcun senso vincere il confronto militare con l’occidente rischiando di finire in una nuova esperienza dittatoriale, simile a quella stalinista. Sarebbe assurdo ripetere gli errori del passato. Se accadrà così, l’occidente avrà vinto anche se militarmente avrà perso. La Russia non può permettere a se stessa di proseguire la civiltà occidentale in altre forme e modi. Il mondo non le sta chiedendo questo, ma di porre un’alternativa a questo cancro dell’umanità. Se questa deve diventare una guerra di civiltà, bisogna dimostrare di essere eticamente e politicamente superiori in ogni più piccolo aspetto.Il fine non giustifica i mezzi, come il dopo non giustifica il prima.

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